Come gli eterosessuali vedono una coppia omosessuale vivere la loro vita quotidiana.
Dalla mia esperienza dipende, solo, da come NOI ci poniamo rispetto alla situazione.
In passato ho parlato di questo argomento con amici e conoscenti, sia gay che non, e la mia conclusione, in merito a questa faccenda, è che tutto dipende da noi.
Non me ne vogliano tutti coloro che in passato sono stati attaccati, sia fisicamente che psicologicamente —che a volte può essere anche peggio che fisicamente— perché si sono permessi di tenersi per mano, mentre passeggiavano o ancora meno grave che abbiano solo fatto intendere che tra loro, c’era qualcosa di più che della semplice amicizia.
Ho un’età, ormai, che mi permette di rivedere mentalmente, i vari stadi dell’evoluzione dello stato di accettazione delle coppie gay, da parte degli altri. Che siano essi semplicemente persone incrociate per strada, vicini di casa, colleghi o parenti stretti.
A cosa mi sto riferendo in particolare? A come la gente vede, al giorno d’oggi, una coppia omosessuale che addirittura convive apertamente. Pur non ignorando che, comunque, restano ai giorni nostri alcuni soggetti, che ancora non riescono a sopportare la vista di una coppia omosessuale, che viva serenamente la propria vita di coppia convivendo senza mentire, molto è cambiato dagli anni ’80, anni in cui ho iniziato ad avere relazioni più stabili, rispetto al periodo da teenager.
Allora, di potersi tenere per mano in pubblico, non se ne parlava proprio; di convivere, apertamente, con un altro uomo, non chiarendo a tutti che si trattava di una situazione di comodo, come ad esempio due maschi che lavoravano entrambi fuori sede e che per spendere meno, condividevano un appartamento, non stava né in cielo né in terra!
Verso i trentacinque anni mi si è presentato l’uomo della mia vita, e di conseguenza si sono presentate situazioni da affrontare, che prima non avevo mai avuto.
Vivevamo in città diverse non troppo distanti, circa un centinaio di chilometri, per cui, di norma, ci si vedeva per stare insieme nel fine settimana, diciamo dal venerdì sera alla domenica sera. Per il lavoro che avevo, avevo un appartamento in una struttura in cui non potevo ospitare, per cui ci si vedeva sempre a casa sua.
Lui aveva già casa di proprietà, in un piccolo condominio, tipico delle zone nell’hinterland delle città medio piccole: sei appartamenti, su due piani, in una stradina, con pochi altri piccoli condomini, a portata di vista.
Abitava già li dà qualche anno, per cui aveva una sua routine con i condomini della sua palazzina. Era chiaro che la mia presenza, quasi costante in tutti i fine settimana, non era passata inosservata.
Insomma la classica situazione in cui non si dice nulla, ma di lascia che gli altri capiscano, e che se la gestiscano da per sé, senza domandare troppo.
La relazione è andata avanti così, con me pendolare, per diversi anni, poi lui si è trasferito nella mia città, e abbiamo cominciato a convivere a tempo pieno.
Ora, la situazione mi pare fosse chiara: io che arrivavo tutti i fine settimana da lui, che restavo sino alla domenica sera, a volte partivo addirittura il lunedì mattino, e la cosa ormai si ripeteva da anni.
Chiaro che i vicini, che scemi non erano, hanno fatto chiaramente 2 + 2 = 4, ma il loro atteggiamento verso il mio futuro compagno di vita, non cambiò per nulla. Anzi, addirittura quando capitava d’incrociarsi, nel cortile o nell’androne di casa, si facevano quattro chiacchiere, addirittura chiedevano di me, sul come stessi, se stavo bene e cose simili.
La cosa che ci lasciò positivamente soppressi accadde in uno degli ultimi anni: avevano notato che spesso le festività le passavamo a casa per conto nostro, per cui quell’anno, una delle vicine di casa, ci invitò a festeggiare la sera dell’ultimo dell’anno con la propria famiglia. Il mio compagno restò piuttosto sorpreso, del fatto che avessero invitato anche me, io, tutto sommato, no.
Perché? Beh il nocciolo della questione, secondo me, sta proprio nel modo in cui noi e intendo noi gay, viviamo e mostriamo la situazione che stiamo vivendo. Se riusciamo a vivere la nostra relazione, e convivenza, nel modo più normale possibile, anche gli altri, alla fin fine, la vivranno come tale.
Cerco di spiegarmi:
Finché io ero il pendolare del fine settimana, tutte le volte che ho incrociato dei suoi vicini di casa, mi sono comportato del tutto normalmente: mai tentato di nascondere che andassi dal mio compagno, o mi sono inventato storie definendolo un semplice amico dal cui mi stessi recando. Ovvio, per allora, era già tanto poter fare così: parlarne come del mio partner allora, sarebbe stato eccessivo probabilmente, ma fintanto che, nessuno di noi due, ha mai mentito sul nostro tipo di relazione, pur non definendola come tale, e abbiamo lasciato loro, i condomini intendo, il tempo di metabolizzare la cosa e poter vedere, con i loro occhi, che ci si comportava come una qualsiasi coppia eterosessuale nel vissuto quotidiano, nessuno ha mai avuto nulla da ridire: almeno io, non ho mai sentito una battuta fuori posto, o vissuto atteggiamenti intolleranti o cose simili, da parte loro.
Insomma ci hanno accettato per la coppia che eravamo, senza grandi difficoltà alla fin fine! Quell’invito per festeggiare l’ultimo dell’anno con la propria famiglia, a mio parere, fu la prova, provata, di quello che ho sempre sostenuto a riguardo di questo argomento.
Essere accettati come coppia omosessuale convivente, sicuramente più allora che non ai giorni nostri, è solo responsabilità della coppia, ossia nostra: se ci si comporta normalmente, e non intendo sottostando a leggi, non scritte, in cui ci si debba nascondere, o fare finta, a oltranza, che non siamo ciò che appaiamo, ossia una coppia, ma facendo vedere con i fatti, che una coppia omosessuale, non ha nulla di diverso da una coppia eterosessuale, la gente, alla fine, la vive come una cosa normale.
Come ho anticipato prima, ci saranno sempre persone che avranno qualcosa da ridire, ma sono la minoranza, e basta ignorarle.
Fare finta di essere una coppia di amici che condividono un appartamento, per questione economiche, poteva funzionare un tempo, e poco in realtà, perché sicuramente pur vivendola così, la gente non lesinava battutine di ogni genere, chiaramente tutte che puntavano al fatto che, comunque, erano due maschi a condividere la casa.
Forse, e dico forse, gli unici a cui era concesso, senza dubitare, erano gli studenti che venivano da fuori città: solo in quel caso, probabilmente, era vista come una situazione accettabile. In tutti gli altri casi, anche nei casi veri di condivisione per motivi economici e/o logistici, i malpensanti battevano la lingua sul tamburo, sempre con la stessa storia: due maschi, soli in una casa, non poteva essere che fosse normale, per cui dovevano essere diversi per forza!
Quello che mi domandavo allora, e che tuttora mi domando, è: perché a noi nessuno ha mai fatto storie, né allora che ci si vedeva solo nei fine settimana, né da quando conviviamo in modo stabile?
E non si dica perché le nuove generazioni accettato meglio questo genere di situazioni, perché noi abbiamo comprato casa, e i condomini sono tutti della nostra età, o con qualche decina di anni in più di noi. Eppure non abbiamo mai nascosto di essere una coppia, chiamavo scherzosamente il mio compagno il marito, da ben prima che ci sposassimo realmente, eppure nessuno si è mai permesso di fare alcun tipo di discorso strano, o battute di pessimo gusto. Siamo il classico condominio dove ci si dà tutti una mano, quando serve, senza problemi di sorta.
Concludendo…
Essere accettati, come coppia gay convivente, almeno per me, non è mai stato un problema: né in passato, né al giorno d’oggi. E questo non perché io sia stato, sono, più fortunato di altri; credo solo perché ho capito prima degli altri, forse, che presentarsi come normali, anche nella propria diversità fa sentire più a proprio agio gli altri. Se noi per primi ci sentiamo diversi nell’essere una coppia, o peggio ancora, vogliano imporre a tutti il nostro modo di essere coppia, senza considerare i tempi che diverse persone possono richiedere, per abituarsi a questa specifica situazione, magari per loro totalmente nuova, allora sbagliamo noi per primi.
Come possiamo pensare che ci accettino come normale coppia, quando noi, per primi, viviamo, e ci vantiamo di essere diversi?
Per quanto possa apparire assurdo, la normalità deve avere origine da noi, che saremmo i diversi! So che può suonare strano, ma le cose stanno così, almeno per la mia esperienza: che piaccia o meno, e se vogliamo davvero essere considerati alla stessa stregua dei normali, da normali dobbiamo comportarci noi per primi.
So che a molti il fatto di doverlo fare per primi darà un senso di fastidio, ma va da se che se nessuno dei due muoverà il primo passo, non si arriverà mai da nessuna parte, e le cose continueranno ad apparire strane di per sé a chi ci vive intorno.
Stessa cosa vale, a grandi linee, per il mondo del lavoro: ma su questo scriverò un altro post, per entrare meglio nel dettaglio, sia delle mie esperienze da gay, in servizio permanente effettivo nelle forze armate, che in posizioni più quotidiane, che tutti dobbiamo affrontare o prima o poi, se non vogliamo restare chiusi in quel maledetto armadio per tutta la vita!
Sono curioso a questo punto…
Voi come vivete la vostra vita coniugale —intenso sia da conviventi non regolarizzati che come uniti civilmente— con una persona dello stesso sesso? In particolar modo riferito a quanto scritto sinora, ossia parlando del vostro inserirvi in un contesto sociale come il classico condominio, con tutto quello che può comportare: fare amicizia con i vicini di casa, interagire con gli altri condomini, partecipare alle riunioni condominiali e tutto quello che ci va dietro?
Riuscite a percepire che non vi considerano diversi da loro, quando si tratta di affrontare i problemi quotidiani, come tagliare l’erba del prato delle zone comuni, pulire le scale del condominio o partecipare alle riunioni condominiali per fare delle scelte inerenti il proprio immobile?
Fatemi sapere come vi va, e se anche voi avere realizzato lo stesso percorso che ho intrapreso io, quando ho deciso di vivere la mia vita di coppia senza nasconderla, ma soprattutto senza enfatizzare che fosse diversa da quella degli altri vicini di casa?
JC
Son capitato qui per caso, questo post era linkato su Twitter.
Sono d’accordo con te. Io ho vissuto la stessa esperienza sul lavoro e addirittura una collega mi disse che sentirmi parlare apertamente della mia relazione, come se fosse una cosa normale, le ha fatto percepire che effettivamente era una cosa normale e che io vivessi senza problemi, vergogne o imbarazzi. Perché quando ci sono queste componenti (imbarazzo, cose accennate o non dette, bugie per mascherare etc…) traspare il nostro disagio e gli altri lo percepiscono. Quindi, a loro volta, le persone hanno disagio perché non sanno come approcciare l’argomento.