Coming Out ed Outing: NON sono la stessa cosa!
Confusione che molti fanno da sempre, un po’ per ignoranza, un po’ per pigrizia nell’andare a cercare la differenze tra le due cose, un po’ per superficialità.
La differenza tra le due cose c’è ed è enorme:
Coming out: azione conscia, e voluta, del dire di essere gay a qualcuno.
Outing: qualcuno che non si è fatto gli affari propri, dice in giro che tu sei gay.
Capite bene la differenza tra le due cose vero? Eppure, per molti, queste due allocuzioni sono sinonimi. «Che importa se sei tu, o è un altro, a dire che sei gay, tanto il fatto resta quello?!?!» Questa affermazione rende, chiaramente, la mancanza più assoluta di tatto, delicatezza, come anche di rispetto, verso la persona che è oggetto del Coming Out o dell’Outing.
È chiaro, che chi afferma una cosa del genere, non tiene minimamente conto del vissuto di chi fa coming out, o sta vivendo la tragedia di un outing subìto, che di solito più è in la con gli anni, e più è complicato. Fosse una cosa da fare senza problemi —il coming out— uno lo farebbe appena se ne rende conto, cosa che di norma succede in età piuttosto giovane. Il fatto è che sono molti, i demoni, con cui devono confrontarsi i giovani che si scoprono, o iniziano ad immaginare di essere omosessuali. Non hanno che da ascoltare la televisione, leggere articoli su internet, ascoltare la radio, per capire quanto, sebbene siano stati fatti passi da giganti rispetto a 40 anni fa, possa essere ostile il mondo verso un giovane che si scopre gay.
Perché sarà pur vero che ai tempi attuali, è più facile capire,
in più giovane età, se si sia omosessuali o meno, ma questo abbassamento di limite di età non corrisponde, altresì, ad un abbassamento di problematiche che il neo gay deve affrontare! È probabile, che le difficoltà che dovrà affrontare, il giovane, siano le stesse di 40 anni fa, ma essendo più giovani, e quindi non ancora maturi, le cose possono diventare molto più complicate da gestire. E parlo di cose apparentemente banali, come il raccontarlo ai genitori, al fratello, al migliore amico.
Insomma capite bene che se uno lo intuisce, e prende atto della situazione a 18 anni, ha una testa di un 18enne per affrontare chi vuole, e confrontarsi sulla questione, ma un ragazzino di 11/13 anni, perché ormai è questa l’età in cui cominciano a capirlo i nostri ragazzi, affrontare i genitori con una questione così delicata, quando spesso in casa non si parla nemmeno di sesso e non si fa educazione sessuale, dando al ragazzo l’impressione che siano cose di cui non si deve parlare… ecco immaginatevi sto ragazzino che scopre questa questione, su se stesso, e non ha, in casa, con chi parlarne.
Pensate a vostro figlio in questa situazione, ma voi direte:
«mio figlio sa che può parlare di qualunque cosa con me;» davvero? Quando avete parlato con lui l’ultima volta di sesso? E come ne avete parlato, se lo avete fatto? Uno dei problemi principali dei giovani omosessuali, è che si ritrovano il 99,9% delle volte, dei genitori che: o non ci hanno mai pensato, o, se lo hanno fatto, la conclusione rapida del discorso è stata sempre la stessa: «Tanto mica può capitare a noi di avere un figlio frocio;» — notate l’uso del termine frocio: non dite che non lo usereste parlando tra voi, e voi stessi, o con il vostro/vostra partner: sareste ipocriti! — Già può capitare solo agi altri vero? A voi non può capitare: scherziamo?
Con tutto l’affetto che gli date — si quelle 3 ore quotidiane di televisione come sostituta della babysitter — come se davvero foste convinti che l’omosessualità sia frutto di un errore, di un errato comportamento dei genitori. Una volta era questa la condizione: «sta troppo attaccato alla mamma: vedrai che e finocchio!» Erano, e purtroppo sono ancora per molti, convincimenti frutto dell’ignoranza, che al giorno d’oggi dovrebbero essere ormai scomparsi; ed invece ci sono ancora genitori che, quando vengono al corrente dell’omosessualità del proprio figlio, la prima cosa che si domandano non è come sta vivendo lui la situazione, ma: «Cosa abbiamo sbagliato come genitori?»
Questa domanda è un chiaro indice,
che ancora certi vecchi stereotipi, sono duri a morire: non mi stuferò mai di ripeterlo, come ho fatto con amici, genitori di figli omosessuali: «Gay non si diventa, gay non si sceglie di esserlo: gay ci si nasce. Punto!» Per cui cercare di chi sarebbe la colpa per cui il figlio sia diventato gay era, e resta, un discorso senza senso: non è colpa di nessuno! Noi siamo così: ci siamo nati, i nostri geni ci hanno fatti così! Andare a cercare il di chi sia la colpa non ha senso, anche perché non c’è colpa, visto che nessuno ha scelto, per cui lo si possa imputare di essere colpevole di qualcosa!
Alla fin fine che resta da fare ad un giovane, che capisce che la propria natura è quella di un omosessuale? Nulla di straordinario: il mio consiglio, al giorno d’oggi, è innanzitutto imparare ad accettarsi; poi, a seconda del tipo di rapporto che si ha, con i propri familiari, è di affrontare il discorso con loro. Non avete idea di quanto sia di aiuto, avere un appoggio in casa: non dico parlare di sesso con loro, ma poter essere se stessi, in un contesto familiare, è una situazione, che non ha prezzo!
Spesso voi ragazzi non vi rendete conto,
in questa situazione, di quando serva avere una persona che ti ascolta senza giudicarti, senza avere pregiudizi; e chi, più di un familiare può farlo? Chiaramente quando parlo di familiare, intendo il padre, la madre, il fratello o la sorella — in questi ultimi due casi, va da se, devono avere l’età per poter capire la questione — chiaramente non fa alcuna differenza chi sia della famiglia, l’importante che qualcuno disposto ad ascoltarti ci sia.
Ed a voi genitori mi resta solo da ricordarvi, che un figlio omosessuale non è una condanna, non è una punizione: è solo sempre lo stesso figlio che avevate prima di sapere che è gay!
Del come un genitore dovrebbe gestire la confessione di figlio di essere omosessuale, ne parlerò in un post dedicato; stessa cosa farò per la questione sul come fare il coming out ai giovani d’oggi.
J.C.
P.S.: parlo sempre di figlio o ragazzo gay: parlo al maschile perché, in questi miei ragionamenti, mi riconosco come soggetto. Chiaramente il discorso vale comunque anche per figlie che si riconoscano come lesbiche!
Il post originale si trova sul blog a questo indirizzo.
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